Ebrei di Rodi. Eclissi di una Comunità. 1944-2024

Naufraghi del Pentcho

Una delle rotte marittime, che dall’Europa conduce in Palestina, passa per il Mar Egeo e le isole del Dodecaneso.

Negli anni Trenta del Novecento la Regia Marina militare italiana di stanza a Rodi ha un ruolo nevralgico nel controllo delle acque territoriali e nell’intercettazione e soccorso alle imbarcazioni clandestine che trasportano per lo più ebrei ashkenaziti dell’Europa centro-orientale, fuggiti dalle persecuzioni antisemite e in cerca di una salvezza via mare.

Battello Pentcho Mar Egeo
Il battello Pentcho naufragato sull’isolotto di Kamilonisi nel Mar Egeo nell’ottobre 1940 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)
Carta viaggio Pentcho
Itinerario con le tappe del viaggio del “Pentcho”, indicato da Israel Kalk (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 5)

Emblematica è la vicenda del “Pentcho”.

Il 16 maggio 1940 520 ebrei austriaci, tedeschi, polacchi, ungheresi, cechi e slovacchi, tra cui uomini, donne e 30 bambini, si imbarcano a Bratislava sul “Pentcho. Nonostante l’imbarcazione sia un vecchio battello fluviale a ruota di fine Ottocento, i profughi intraprendono un disperato viaggio che, lungo il Danubio, il Mar Nero e poi il Mar Mediterraneo, avrebbe dovuto condurli in salvo nella Palestina mandataria. 

La loro odissea è narrata e documentata in preziosi resoconti di viaggio e testimonianze dei profughi, che sono giunti a noi grazie al lavoro condotto da Israel Kalk.

Il viaggio del “Pentcho” dura diverse settimane, frequentemente interrotto dalle autorità dei Paesi attraversati e dai guasti dell’imbarcazione. Così, quando i profughi giungono nel Mar Nero, la nave che li avrebbe dovuti aspettare per portarli in Palestina non c’è più. Essi decidono comunque di proseguire il viaggio a bordo del vetusto battello.  L’imbarcazione però, inadeguata a intraprendere la navigazione in mare aperto, nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 1940, a seguito delle condizioni avverse del tempo e dell’impossibilità di manovra della nave per mancanza di carburante, naufraga sull’isolotto disabitato di Kamilonisi nel Mar Egeo.

I naufraghi, avvistati da aerei di ricognizione, vengono soccorsi dalla nave “Camogli” della Regia Marina italiana capitanata dal Comandante Carlo Orlandi e il 23 ottobre sono condotti a Rodi, distante 118 miglia nautiche da Kamilonisi.

Isola Kamilonisi Mar Egeo
L’isolotto disabitato di Kamilonisi nel Mar Egeo nell’ottobre 1940 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)
Naufraghi Pentcho Mar Egeo
I naufraghi del Pentcho recuperano le loro masserizie e i loro bagagli dalla nave che affonda il 10 ottobre 1940 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)

Una volta giunti sull’isola essi vengono rinchiusi, in ottemperanza all’Ordinanza di arresto per gli ebrei stranieri, nel Campo di concentramento di San Giovanni in attesa di decidere della loro sorte. Gli ebrei del Pentcho, divenuti prigionieri, rimangono per più di un anno in condizioni di privazione a causa della scarsità degli approvvigionamenti sia di cibo che di vestiario.

Naufraghi Pentcho Rodi
I naufragi di Pentcho al lavoro nel campo di concentramento di S. Giovanni a Rodi (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)
Distribuzione pasti naufraghi Rodi
Distribuzione dei pasti ai naufraghi del Pentcho al campo di concentramento di S. Giovanni a Rodi (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)
Il giorno della partenza per Ferramonti di Tarsia dal campo di concentramento di S. Giovanni a Rodi il 3 marzo 1942 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Kalk Israel, Album 10)

Nei primi mesi del 1942 viene deciso il loro trasferimento in Italia, presso il campo di internamento per ebrei stranieri di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. I naufraghi giungono al campo in due distinti momenti, il 12 febbraio e il 27 marzo 1942.

Solo tre di loro, che erano riusciti nei lunghi mesi di permanenza a Rodi ad avviare un’attività commerciale come conciatori, rimangono sull’isola. Si tratta dei fratelli Rudolf e Sidney Fahn e della futura moglie di quest’ultimo, Regina Sonnerfeld che il 3 dicembre 1943 dà alla luce un bambino, Alexander. Quella scelta si rivela per loro fatale. A differenza dei compagni, internati nel campo di Ferramonti ma liberati dagli Alleati nel settembre 1943, essi saranno arrestati insieme alla comunità rodiota nel luglio 1944 e deportati ad Auschwitz. Solo Sidney sopravvive alla deportazione.

Rudolf Fahn
Ritratto di Rudolf Fahn. (Yad Vashem, Hall of Names, Pagina della testimonianza di ‘Rudolf Fahn’)
Sidney Fahn
Ritratto di Simcha Sidney Fahn. (Yad Vashem, Hall of Names, Pagina della testimonianza di ‘Simcha Sidney Fahn’)

Per esplorare il monumento

I nomi, elencati in ordine alfabetico, sono suddivisi in 10 fasce orizzontali corrispondenti all’età raggiunta al 23 luglio 1944 per comprendere la composizione demografica della comunità: 0-9 anni | 10-19 anni | 20-29 anni | 30-39 anni | 40-49 anni | 50-59 anni | 60-69 anni | 70-79 anni | 80-89 anni | età non conosciuta.

Coloro che sono sopravvissuti alla deportazione sono indicati con un colore diverso, allo scopo di evidenziare il loro esiguo numero.

Tramite lo strumento di zoom è possibile avere un’immagine più ampia del numero di persone deportate e avvicinarsi fino a distinguere ogni nome.

Usare i pulsanti + / – per lo zoom e scorrere lateralmente usando le frecce o facendo swipe.

Posizionarsi su un nome così da far apparire la scheda sintetica con i dati principali della persona: il tasto “scopri di più” permetterà di accedere alla pagina dedicata al nome selezionato.

La funzione di ricerca, indicata con la lente di ingrandimento, consente di inserire il nominativo cercato, che verrà quindi evidenziato sul Monumento.