Ebrei di Rodi. Eclissi di una Comunità. 1944-2024

Nati a Rodi e deportati dall’Italia

Nel corso degli anni Venti e Trenta del Novecento si assiste a una forte emigrazione degli ebrei di Rodi che si indirizza anche verso l’Italia. Per alcuni di loro questo comporta comunque, dopo l’8 settembre 1943, l’arresto e la deportazione.

Attraverso le storie di Jeannette Levi, Abner Hasson, Nissim Alhadeff ed Elia Bardavid è possibile osservare da vicino le linee di questo percorso, diverso e paradigmatico, che interessa parte della comunità ebraica dei Possedimenti italiani dell’Egeo trasferitasi in altri luoghi.

Jeannette (Giannetta) Levi

Jeannette (Giannetta) Levi nasce a Rodi il 13 novembre 1924, figlia di Bension Levi e Reina Ferrera. Il padre Bension muore nel 1932 mentre le sorelle Rachele e Giuditta rimangonoo vittime dei bombardamenti aerei su Rodi dell’aprile del 1944. Il resto della famiglia, composta dalla madre Reina Ferrera e dai fratelli Giacobbe Giacomo, Elia Eliakim ed Esther, viene arrestato e deportato pochi mesi dopo nel luglio 1944.
Jeannette conosce a Rodi un giovane di Viareggio, in provincia di Lucca, marinaio su una delle navi mercantili in appoggio alla Marina militare italiana, fidanzandosi con lui.
Alla fine del gennaio 1942 lascia l’isola del Mar Egeo per trasferirsi a Viareggio e andare ad abitare con la famiglia del fidanzato. Dopo l’occupazione nazista, le autorità italiane la arrestano e conducono nel campo di concentramento provinciale per ebrei di Bagni di Lucca (località Bagni Caldi), da dove il 23 gennaio 1944 i tedeschi la prelevano e trasportano dapprima a Firenze e poi a Milano.
Viene deportata dalla Stazione Centrale di Milano con il convoglio partito il 30 gennaio, destinazione il campo di sterminio di Auschwitz, in cui entra con il numero di matricola 75184.
Jeannette morirà il 30 novembre 1944, pochi giorni dopo aver compiuto 20 anni.

Intervista a Elisa Franco di Marcello Pezzetti, Bruxelles, 11 maggio 2004 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Archivio della Memoria)

Per un approfondimento sulla sua storia, si veda Quintilia Angelini S. e Bezzan A., Adio Querida. Jeannette Levi: Rodi, Viareggio, Auschwitz, in “Documenti e Studi”, Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Lucca, n. 50, 2022, pp. 33-45.

Ritratto di Jeannette Levi. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Ebrei di Rodi e Coo)
Ritratto di Jeannette Levi. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Ebrei di Rodi e Coo)
Carta d’identità di Abner Hasson, rilasciata il 16 febbraio 1942. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Vicissitudini dei singoli I, b. 11, fasc. 326)
Carta d’identità di Abner Hasson, rilasciata il 16 febbraio 1942. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Vicissitudini dei singoli I, b. 11, fasc. 326)
Ritratto di Jean-Pierre Hasson a Maderno nel settembre 1943. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Menascé Fintz Ester)
Ritratto di Jean-Pierre Hasson a Maderno nel settembre 1943. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Menascé Fintz Ester)

Abner Hasson

Abner Hasson nasce a Rodi il 4 febbraio 1898, figlio di Celebi Hasson e Lea Hanan.
Di professione commerciante e sposato con Ester Ass, ha tre figli, Edith, Gilberto e Jean-Pierre, nati a Parigi dove la coppia si era trasferita. A causa della persecuzione antiebraica, decidono di lasciare la Francia, e riparare in Italia. La famiglia Hasson si stabilisce a Milano dove il figlio minore frequenta la scuola ebraica di via Eupili.
Per sfuggire alle incursioni aeree, gli Hasson vanno a Maderno sul Lago di Garda, dove incontrano altre famiglie ebree, i Papo e i Menascé, anch’esse sfollate dalle città.
Nora Menascé, figlia di Vittorio Menascé e Sara Fintz e sorella di Ester, nel racconto Sulle rive del Lago di Garda ricorda le giornate a Maderno e la sua amicizia di bambina di undici anni con il figlio di Abner, prima della deportazione:

Nel dicembre 1943 Abner Hasson con la moglie e i figli tenta la fuga in Svizzera ma il 28 dicembre 1943 vengono tutti e cinque arrestati dalle autorità italiane sul confine italo-svizzero; rinchiusi dapprima nel carcere di Domodossola, sono poi trasferiti a Milano e da qui deportati con il treno partito dalla Stazione Centrale il 30 gennaio 1944 e giunto ad Auschwitz il 6 febbraio, il medesimo su cui viene caricata anche Jeannette Levi.
Pochi mesi dopo, a Rodi nel luglio 1944 vengono arrestati e deportati anche il padre di Abner, Celebi Hasson e la zia paterna Caden Hasson. La madre Lea Hanan era deceduta tempo addietro.

Per un approfondimento relativo alla cattura della famiglia Hasson, si veda il fascicolo a lei intitolato conservato nel fondo “Vicissitudini dei singoli serie I” dell’Archivio della Fondazione CDEC (b. 11, fasc. 326).

Nissim Alhadeff

Nissim Alhadeff nasce a Rodi il 18 marzo 1918, figlio di Isaac Alhadeff e Rebecca Cori.
Di professione medico, decide di trasferirsi in Italia a Roma. Dopo l’8 settembre 1943 e con l’arrivo dei tedeschi, è accolto, assieme ad altri rifugiati, presso il Pontificio Istituto Orientale e Russicum in via Cattaneo, che gode di uno statuto speciale. La notte del 21 dicembre 1943 vi è però un’irruzione da parte di Pietro Koch, capo di un reparto investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), e dei suoi uomini. Alhadeff viene arrestato e inviato nel campo di Fossoli per essere poi deportato il 5 aprile 1944. Sopravvissuto alla Shoah, si trasferisce negli Stati Uniti d’America dove svolge la professione medica. Muore il 24 settembre 2009 all’età di 91 anni.
Nissim Alhadeff, in una lettera inviata a Moise e Giuliana nel 1945 dopo il suo ritorno a Roma, racconta della sua storia di deportazione e della “marcia della morte” con la quale, assieme ad altre centinaia di internati, viene trasferito da Jawischowitz, sottocampo di Auschwitz, al campo di Buchenwald dove sarà liberato.

Copia del foglio di trasferimento di Nissim Alhadeff dal KL Auschwitz il 22 gennaio 1945. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Vicissitudini dei singoli I, b. 23, fasc. 659)
Copia del foglio di trasferimento di Nissim Alhadeff dal KL Auschwitz il 22 gennaio 1945. (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Vicissitudini dei singoli I, b. 23, fasc. 659)

Elia Bardavid

Elia Bardavid è figlio di Alessandro Bohor Bardavid, nato il 20 settembre 1889, e di Violetta Pontremoli, nata il 10 aprile 1895, entrambi originari di Smirne in Turchia.
Dopo la nascita a Smirne della prima figlia Mary il 15 maggio 1921, la coppia dalla Turchia si sposta dapprima a Rodi, dove il 23 gennaio 1925 nasce Elia, successivamente va ad Alessandria d’Egitto e quindi ad Atene, luogo in cui nasce l’ultima figlia Graziella il 23 giugno 1931. Infine, la famiglia Bardavid – in possesso della piccola cittadinanza italiana – decide di trasferirsi in Italia a Milano dove risiedono anche i fratelli di Alessandro Bardavid.
Nel settembre 1943, Elia Bardavid si trova insieme ai genitori e alla sorella minore Graziella a Lasnigo, in provincia di Como, sfollati da Milano. Ma dopo l’invasione tedesca, i Bardavid decidono di trovare un luogo più sicuro a poca distanza da lì, a Sormano, dove vengono raggiunti dalla notizia che l’altra figlia Mary Bardavid il 16 settembre è stata uccisa con il marito Giacomo Elia Modiano dalle SS ad Arona, in provincia di Novara, nell’eccidio del Lago Maggiore.
Nella continua ricerca di una salvezza, Graziella viene ospitata provvisoriamente nel collegio delle suore di Santa Maria Bambina di Asso, a un’ora di cammino da Sormano.
Con l’aggravarsi della situazione, nel dicembre 1943 tutta la famiglia cerca di superare il confine svizzero ma viene respinta alla frontiera. Graziella, non potendo tornare in convento, poiché ritenuto troppo pericoloso, è nascosta ad Asso dapprima nel negozio di merceria di Giuseppe e Maria Mazza, commercianti in affari con il padre Alessandro, e poi dai parenti della coppia, Giuseppe e Luigi Bonaiti, che vivono a Calolziocorte e tengono con loro la ragazza fino alla Liberazione. Sia i Mazza che i Bonaiti sono stati riconosciuti Giusti fra le Nazioni.
Graziella vede i genitori e il fratello Elia per l’ultima volta il 25 dicembre 1943. Il 13 marzo 1944, infatti, Elia con il padre Alessandro e la madre Violetta sono arrestati dalla polizia italiana a Sormano, condotti nel campo di transito di Fossoli e il 5 aprile 1944 deportati con il convoglio ad Auschwitz da cui non fanno ritorno.
Elia Bardavid all’arrivo al campo di sterminio viene immatricolato con il numero 179990. Evacuato successivamente nel campo di concentramento di Buchenwald, muore il 27 marzo 1945.

Per un approfondimento sulla storia di salvezza di Graziella Bardavid, si veda a cura di Gutman I., Rivlin B. e Picciotto L., I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945, Mondadori, Milano, 2007, pp. 56-58

Per esplorare il monumento

I nomi, elencati in ordine alfabetico, sono suddivisi in 10 fasce orizzontali corrispondenti all’età raggiunta al 23 luglio 1944 per comprendere la composizione demografica della comunità: 0-9 anni | 10-19 anni | 20-29 anni | 30-39 anni | 40-49 anni | 50-59 anni | 60-69 anni | 70-79 anni | 80-89 anni | età non conosciuta.

Coloro che sono sopravvissuti alla deportazione sono indicati con un colore diverso, allo scopo di evidenziare il loro esiguo numero.

Tramite lo strumento di zoom è possibile avere un’immagine più ampia del numero di persone deportate e avvicinarsi fino a distinguere ogni nome.

Usare i pulsanti + / – per lo zoom e scorrere lateralmente usando le frecce o facendo swipe.

Posizionarsi su un nome così da far apparire la scheda sintetica con i dati principali della persona: il tasto “scopri di più” permetterà di accedere alla pagina dedicata al nome selezionato.

La funzione di ricerca, indicata con la lente di ingrandimento, consente di inserire il nominativo cercato, che verrà quindi evidenziato sul Monumento.